martedì 30 novembre 2010

PENNY IKINGER "Penelope" (Citadel)



Penny Ikinger non è un nome noto per chi non è addentro alle “segrete cose” del rock australiano. Ed è un vero peccato. Perché l’affascinante chitarrista e chanteuse di Melbourne è sulle scene dei nostri antipodi da quasi trent’anni.
Prima con i formidabili Wet Taxis, poi con il pianista Louis Tillet e, a partire dal 1990, con una serie di nomi assai noti dell’Aussie-rock come Tex Perkins (Beasts of Bourbon) e Kim Salmon (Scientists, Beasts Of Bourbon, Surrealists).

La sua carriera solista invece prende avvio, discograficamente parlando, nel 2003 con la pubblicazione dell’album “Elektra”. Adesso, preceduto dall’Ep “Fragile” dello scorso anno, arriva il secondo disco in solitario per Penny. In solitario per modo di dire, visto che la rocker australiana si fa accompagnare nelle dodici tracce di “Penelope” da una moltitudine di amici musicisti, tra cui spiccano i nomi di Deniz Tek (Radio Birdman), a cui pure è dedicato il disco, Ron Peno (Died Pretty), Ron Sanchez (Donovan’s Brain), i francesi Vinz Guilly e Demi Dero, Charlie Owen (Beasts of Bourbon).

Non è la solita “all star band” messa su per attirare qualche attenzione sul disco, ma una congrega di musicisti di altissimo livello che funziona a meraviglia su queste canzoni. Canzoni che compongono un viaggio sonoro dalla forte impronta chitarristica, con tempeste di feedback e fuzz, a metà strada tra il noise e lo shoegazer. E con un’arma in più: la voce suadente e sensuale di Penny che avvolge tutte le composizioni e le marchia a fuoco con la sua timbrica personale.

Come ci svela subito la splendida “Into The Slipstream” posta sui solchi iniziali, con quel suo incedere sinuoso ed ipnotico che si avvale però di una ritmica tribale. In “Montana To Mexico” è la chitarra al contempo tagliente e psichedelica di Deniz Tek a tenere alta la tensione, mentre “Fragile” è un episodio delicato e quasi impalpabile.

“Heart Song” viaggia su territori noise alla maniera dei Sonic Youth, con la voce sensuale di Penny che si inarca sulle trame ipnotiche degli strumenti.
La parte centrale del disco soffre di una certa monotonia, ma "Penelope" riprende subito quota con “Dirty Pool”, una canzone minimale, notturna, intimista che in più di un passaggio ricorda la migliore PJ Harvey.

E se “Impossibile Love” è il brano più accessibile, e pop, della raccolta, “Memories Remain” è una ballata elettrica dove è Ron Peno dei Died Pretty a duettare alla voce con Penny.
“Pieces Of Glass” è invece l’episodio più solare e apertamente rock’n’roll del disco, un pezzo convincente e coinvolgente che cede il passo alla conclusiva “City Of Sin” , l’ennesima tentazione minimale e ipnotica di “Penelope”.
Un disco che cresce con gli ascolti e ti entra dentro poco a poco fino a conquistarti.

sabato 27 novembre 2010

"EIGHTIES COLOURS": oggi al MEI di Faenza





Nuova presentazione di "EIGHTIES COLOURS": oggi alle ore 13 alla Sala Convegni del M.E.I 2010 a Faenza.

L'occasione è data dall'incontro "I colori degli anni Ottanta: gli Avvoltoi e altre storie..." durante il quale "Eighties Colours" sarà premiato come "Miglior libro indies dell'anno" del M.E.I. 2010.

Parleremo della scena neo-Sixties italiana di quel decennio contraddittorio: tanto superficiale e plasticato a livello mainstream, quanto ribollente di energia e creatività nell'underground.
E soprattutto festeggeremo i 25 anni di attività degli Avvoltoi, una delle band più significative di quella fantastica scena musicale.

Assieme a me ci saranno infatti Moreno "Spirogi" Lambertini degli Avvoltoi e Salvatore Coluccio, organizzatore di due importanti eventi neo-Sixties contemporanei: i festival Primavera Beat e Manifesto Beat.

Se siete al M.E.I. l'appuntamento è per le ore 13.
Non mancate!

venerdì 26 novembre 2010

PAUL COLLINS - King of Power Pop! (Alive)



La nuova attenzione catalizzata da Paul Collins con la recente serie di ristampe che ha riguardato le sue leggendarie formazioni di un tempo come i formidabili Nerves e gli estemporanei Breakaways culmina adesso in un nuovo album solista del musicista newyorkese. Che, intanto, si è trasferito nuovamente nella Grande Mela dopo il lungo periodo madrileno e negli ultimi mesi ha suonato ininterrottamente in giro per gli States e il Canada.

“King of Power Pop!” è il terzo album pubblicato dal Nostro nel volgere di cinque anni, cioè da quando è tornato a calcare i palchi di mezzo mondo per diffondere il verbo del power-pop con un repertorio fatto di vecchi classici e di nuove splendide canzoni. Così dopo “Flying High” (2005) e “Ribbon Of Gold” (2008), Paul Collins chiude il cerchio con il terzo lavoro di questa ipotetica trilogia. E lo fa con il suo disco migliore.

Se negli altri album, infatti, c’erano sempre due-tre anthem imbattibili che non avrebbero sfigurato ai tempi dei Beat, in “King Of Power Pop!” (titolo autocelebrativo, ma azzeccatissimo) è la maggior parte delle canzoni a essere di altissimo livello.
Canzoni pop, certamente. Ma è esattamente ciò in cui Paul è davvero il “Re”, ciò a cui ha dedicato una vita intera: quei tre minuti magici in cui melodia e grintoso guitar-sound si fondono alla perfezione e ti restano scolpiti in testa sin dal primo ascolto.

E allora c’è di che godere con le tredici canzoni che compongono questo disco.
Sin dall’iniziale “C’mon let’s go!”, perfetto esempio di pop song a presa immediata, passando per il rock’n’roll aggressivo di “Do You Wanna Love Me?”, con tanto di armonica, e l’altrettanto incisiva “Don’t Blame Your Troubles On Me”.

Con “Many Roads To Follow” dei Nerves i ritmi rallentano con un brano westcostiano, con le chitarre acustiche e i cori a disegnarne la trama. Ma è solo un attimo perché subito dopo Paul Collins piazza uno dei brani più riusciti del disco, un piccolo capolavoro da due minuti e mezzo. Si intitola “Lose Your Cool” e sono certo che farà la gioia dei fans dei Beat.

La voce ormai arrochita del rocker newyorkese graffia anche sulla melodica ma dinamica “Off The Hook” e nella nervosa “I Go Black”, mentre “Kings of Power Pop!” è un pezzo che fa non tradisce il titolo che porta.

Ma non è tutto perché il finale ci riserva ancora due sorprese: la spettacolare “This Is America”, che si apre con un soffio di feedback e vola in un crescendo di chitarre, e la bellissima cover di “You Tore Me Down”, il pezzo più byrdsiano dei Flamin’ Groovies. Anche loro “re del power pop”.

giovedì 25 novembre 2010

Salve le carte di Piazza Fontana


La vergognosa sentenza sulla bomba di Piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974, 8 persone morte, 102 ferite) non ha fatto altro che riaprire una sanguinosa ferita sulle stragi di Stato.

Stragi in cui una parte consistente degli apparati di sicurezza, in teoria al servizio della Repubblica e della democrazia, deviarono verso tentazioni golpiste e reazionarie.
Colpendo nel mucchio, uccidendo decine di persone innocenti e ferendone gravemente a centinaia.

E' per questo che la democrazia italiana non potrà avere un futuro se non si farà chiarezza su quelle stragi, sui livelli di collusione, sulle responsabilità.

Per far chiarezza su quanto avvenuto è importante tener viva la memoria e chiedere che i documenti secretati siano resi pubblici.

E', quindi, una buona notizia che l'immenso archivio dei processi sulla strage di Piazza Fontana, abbandonato per anni negli scantinati del tribunale di Catanzaro, sia stato finalmente salvato e digitalizzato.

Potete leggere l'articolo su Repubblica, cliccando qui

Sempre su Repubblica.it potete firmare l'appello affinchè lo Stato si decida a rendere accessibili i suoi archivi su quelle stragi che ancora oggi reclamano giustizia.

mercoledì 24 novembre 2010

CUT - Annihilation Road (Go Down)


Ho apprezzato i bolognesi Cut sin dai loro esordi, ma devo dire che - soprattutto quando in molti sbavavano per loro nei primi anni Duemila - ho sempre teso a ridimensionarli.
Forse perché sono spesso e volentieri un bastian contrario. O forse perché ho sempre ritenuto che i gruppi italiani per uscire dal loro provincialismo e dalla loro autoreferenzialità debbano confrontarsi con i gruppi e le scene internazionali, e non solo prenderli a modello e scimmiottarli.
Per cui ogni qual volta ascoltavo un nuovo disco dei Cut, per quanto bello e incisivo fosse, lo trovavo sempre una spanna al di sotto di quelli delle più accreditate formazione straniere.

Questa volta no.

Giunta al quinto album, con un percorso sincero e coerente, e senza aver gettato la spugna in un panorama musicale (quello italiano) sempre più asfittico e desolante, la formazione guidata da Ferruccio Quercetti centra pienamente il bersaglio. E lo fa in virtù di un sound che ha saputo limare ogni eccesso, senza perdere in potenza e in forza comunicativa: un cocktail ad alto tasso alcolico di punk, blues, noise e rock’n’roll.
A certificare, poi, la raggiunta dimensione internazionale del terzetto bolognese sono le collaborazioni di questo album. “Annihilation Road” è stato registrato a New York da Matt Verta-Ray, sodale di Jon Spencer negli Heavy Trash e, prima ancora, chitarrista e mente dei newyorkesi Speedball Baby. Il disco è stato poi masterizzato da Ivan Julian che in molti ricorderanno al fianco di Richard Hell nei suoi leggendari Voidoids.

E’ rock contemporaneo, nervoso e tagliente, quello contenuto nelle quattordici tracce di “Annihilation Road”. Musica che vuole colpire duro, che non lascia spazio ad ammiccamenti commerciali e che va dritta al bersaglio.

La partenza è al fulmicotone con la title-track e la non meno impattiva “Strange Kind of Feeling”, mentre in “Awesome” emerge lo spettro dei Fugazi soprattutto nell’iniziale giro di basso. E se in “She Gave Me Water” i Cut giocano tutto sui chiaroscuri, nella fase centrale del disco tirano fuori una triade di canzoni di punk blues dissonante e ricco di scorie noise come “All Our Dues”, in cui si avverte l’infusso della Blues Explosion, “The Light” e “Summertime”.

Ma il meglio deve ancora venire: con il dinamismo sonoro che avvolge “Smash The Playground” e soprattutto con “Soul Fire”, un episodio notturno, ipnotico e affascinante, vetta artistica di un album senza sbavature né cali di tensione. Uno dei dischi più riusciti del 2010. Non soltanto italiani.

martedì 23 novembre 2010

THE BELLRAYS - "Black Lightning" (Fargo)


“Maximum Rock’n’Soul”: è questa la formula con cui i californiani BellRays definiscono da sempre la loro cifra stilistica. La band di Riverside, California, guidata dalla coppia formata (anche nella vita) da Lisa Kekaula e Bob Venuum, nonostante i ripetuti cambi di line-up, giunge oggi alla settima prova. In splendida forma.

Al punto che “Black Lightning” pare essere il disco più maturo e completo fin qui realizzato dal quartetto americano. Senza recedere neppure un po' da quella fiera attitudine soul e punk con cui hanno sempre caratterizzato le loro mosse sul palco e in studio, i BellRays distillano dieci nuove canzoni che mettono perfettamente a fuoco il senso del loro credo sonoro. A partire dalla title-track che apre l’album: una sintesi del rock dal grande impatto sonoro ed emotivo che la band sa generare con chitarre sature, volumi altissimi, una sezione ritmica che non sbaglia un colpo e la voce, calda e aggressiva, di Miss Kekaula.

Sugli scudi pure le deraglianti “Hell On Earth” e “Living A Lie”, due brani che filano come un treno sparato a tutta velocità e travolgono qualunque cosa gli si pari innanzi. La tensione si smorza con “Sun Comes Down”, splendido episodio di scuola Stax/Motown, con un riuscito arrangiamento d’archi e i cori femminili che fanno risaltare ancor di più il carisma e la voce della singer di colore.

“On Top” non tradisce il titolo che porta, essendo la vetta creativa di “Black Lightning”: mirabile esempio di high-energy rock’n’roll del Ventunesimo secolo, un bolide perfettamente oliato in ogni suo ingranaggio, che non sbanda in curva e va dritto all’obiettivo. Con “Anymore” i BellRays si inoltrano ancora in territori black con un brano, imperniato sulla voce sofferta e intensa di Lisa, che tocca le corde più sensibili del nostro animo. Mentre “Power To Burn” è l’episodio più diretto dell’album, un classico rock’n’roll di due minuti, semplice ma efficace. “Everybody Get Up” è ancora più hard sotto il profilo strumentale, ma con la voce roca e potente di miss Kekaula e un assolo d’altri tempi a fare la differenza. Potenza che ritroviamo anche nella superba “Close Your Eyes” che si apre verso soluzioni più liriche prima di sfociare in “The Way”, un ispirato brano soul alla maniera dei “girls group” degli anni Sessanta che chiude i solchi di "Black Lightning". Un album che, assieme all'esplosivo "Let It Blast" (1998) e al più meditato "Have A Little Faith" (2006), rappresenta il vertice della produzione discografica del favoloso quartetto californiano. Oltre ad essere, senza tema di smentita, uno dei dischi migliori di questo 2010 che volge al termine.

lunedì 22 novembre 2010

Scott Morgan -S/T (Alive)




Dopo le ultime eccellenti prove con The Solution, Powertrane e Hydromatics, Scott Morgan ha pensato che fosse venuto il momento di realizzare un album da solista. Così l’ex cantante e chitarrista della leggendaria Sonic’s Rendezvous Band (e prima ancora dei Rationals) ha raccolto attorno a sé alcuni tra i più rispettati musicisti della Motor City e tirato fuori un album che trasuda black music e gronda emozioni a ogni nota.

Accanto a lui troviamo Matthew Smith (piano, chitarra, cori), Chris Taylor (chitarra, cori), Dave Shettler (batteria, cori) e soprattutto, al basso, l’ex Dirtbombs e produttore (dei White Stripes, tra gli altri) Jim Diamond presso i cui famosi Ghetto Recorders è stato registrato l’album.

Scott Morgan, “il bianco con la voce da nero”, ancora una volta non fa nulla per nascondere le sue radici e nelle undici tracce di questo eponimo lavoro fa professione di fede nel R&B e nel soul con un programma sonoro equamente diviso tra cover e brani originali.

La partenza è con una versione di grana grossa di “Something About You” dei Four Tops che scivola poi nel fascino soul di “Fallin’ For Ya” e nell’esuberante “She’s Not Just Another Woman”, straordinario pezzo R&B originariamente firmato dagli Eight Day di Detroit.
Tra gli originali spicca invece l’effervescente “Summer Nights”, dagli umori funky, che ricorda vagamente “Purple Haze” ed è arricchita da cori. Mentre la cover di “Since I Lost You Baby” di Jerry Butler mette in luce tutto il lirismo di cui è capace Scott.

Un ipnotico riff blues-rock riveste “Lucy May”, mentre è il groove a risaltare in “Mississippi Delta” (Bobbie Gentry) e “Memphis Time”. Ma non è ancora finita: ci sono due cover rese superbamente, l’affascinante “Do I Move You” di Nina Simone e la stilosa “Bring It On Home To Me” dell’immortale Sam Cooke, e soprattutto “Highway” in cui, per un attimo, Scott Morgan e i suoi sodali abbandonano la black music e si fanno trascinare nell’hi-energy rock’n’roll alla Sonic’s Rendezvous Band con un pezzo tanto breve quanto incisivo.

Perfetta conclusione di un disco che è una nitida fotografia della carriera e dell’attitudine di Scott Morgan: onesto, appassionato, senza compromessi.

lunedì 15 novembre 2010

EIGHTIES COLOURS on air




La puntata de "La Cantina del Rock" dedicata a "Eighties Colours" è adesso disponibile in podcast.

La trovate cliccando qui
oppure copiaincollando il seguente link: http://www.e-x-p.it/06rp.html

Buon ascolto dal sottoscritto...e da Roberto Colella/Wolfman Bob!

Keep the fuzz!!!

domenica 14 novembre 2010

RADIO BIRDMAN "Live In Texas" (Crying Sun)


Riformatisi improvvisamente nel 1996, i Radio Birdman - il più leggendario gruppo australiano - sono rimasti sulla breccia per undici anni. Fino al 2007, anno in cui hanno definitivamente posto la parola fine alla loro straordinaria avventura musicale.

Nei due lustri in cui sono stati nuovamente assieme Rob Younger, Deniz Tek e soci hanno lasciato il segno: con due dischi, il live “Ritualism” (1997) e l’album “Zeno Beach” (2006), e soprattutto con una serie di tournèe entusiasmanti, tre delle quali hanno toccato anche l’Italia, rispettivamente nel 2003, 2006 e 2007.

La formazione dell’ultimo tour si componeva dei tre membri originali Rob Younger alla voce, Deniz Tek e Chris Masuak alle chitarre, più l’ex Barracudas e New Christs Jim Dickson al basso e Russell “Rusty” Hopkinson alla batteria. La band aveva dovuto rinunciare al tastierista Pip Hoyle, scosso dalla morte prematura del figlio adolescente Will, e questo aveva privato la band di uno dei suoi elementi più originali e fantasiosi. Per ovviare all’assenza determinante di Pip, i Birdman allora puntarono tutto sull’energia. Su un set tirato allo spasimo, vibrante, spigoloso. E su una scaletta perfetta in cui i nuovi i brani si incastonavano con quelli vecchi e con le cover (tre, rispettivamente di Who, Kinks e Blue Oyster Cult).

Concerti dal grande impatto sonoro ed emotivo, che oggi sono documentati da questo “Live In Texas”, pubblicato dalla Crying Sun/Citadel del mai troppo celebrato John Needham.

Sedici brani che fotografano l’energia, il calore, la grinta emanati dai Radio Birdman nel loro tour d’addio e, in particolare, nei due show tenuti a Austin e Houston nel giugno del 2007. Anthem punk come “Murder City Nights” o “What Gives” cedono il passo a episodi più recenti, ma non meno incisivi, come “We’ve Come So Far, To Be Here Today” o “You Just Make It Worse”. Le cover di “Circles” e “Til The End Of The Day” mostrano una nuova veste, più dura, mentre i wah-wah di Tek e Masuak e la voce oscura e lirica di Rob Younger sono le armi vincenti in un classico come “Hand Of Law” e nella nuova, splendida “Locked Up”. Ma anche nel finale effervescente di “I-94” che scivola senza soluzione di continuità in “Hot Rails To Hell” dei Blue Oyster Cult. Passato e presente che si fondono. Un addio al fulmicotone. Un disco live di rara potenza, non solo per i fan del gruppo australiano.

* * *

Puoi leggere questa recensione anche su Freak Out:
http://www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=2072

sabato 13 novembre 2010

EIGHTIES COLOURS a "La Cantina del Rock"



30sima presentazione (undicesima in radio) di EIGHTIES COLOURS.

L'invito a cui non potevo dire di no è di Bob Colella/Wolfman Bob, amico e conduttore de La Cantina del Rock, programma radiofonico che da circa un mese è tornato in onda sui 103.3 di Radio Popolare Roma, dopo una pausa legata alla chiusura dell'ormai storica Facoltà di Frequenza a Siena.

Oggi sabato 13 novembre, a partire dalle 18,30, sarò in studio con Wolfman Bob per parlare degli "altri" anni Ottanta italiani, del lavoro svolto per raccontare la scena neo-Sixties italiana e soprattutto per mandare in onda i suoni provenienti dall'undergound garage, beat e psichedelico tricolore di venti e passa anni fa.

Se siete a Roma, potete sintonizzarvi sui 103.3 mhz in FM.
Oppure godervi la diretta in streaming su Internet all'indirizzo www.radiopopolareroma.it

Restate sintonizzati e se avete delle richieste di gruppi/brani da ascoltare lasciate un commento nei post. Bob e io cercheremo di accontentarvi...

Keep the fuzz!

mercoledì 10 novembre 2010

EIGHTIES COLOURS: nuova presentazione a Roma



Venerdì 12 novembre, nuova presentazione di EIGHTIES COLOURS a Roma.

L'appuntamento questa volta è alle ore 19, all'OBLOMOV di Via Macerata 58 al Pigneto (il quartiere più cool della Capitale).

Una chiacchierata informale assieme a Bob Colella, conduttore de "La cantina del rock" in onda ogni sabato alle 18:30 su Radio Popolare Roma (103.3 Mhz), e con tutti coloro che vorranno parteciparvi.

Si parlerà ovviamente del libro, e dell'effervescente scena underground italiana degli anni Ottanta, in particolare garage, beat e psichedelica.

Se siete a Roma, non mancate!!!





Pics by Federico Gorini (thanks!)

martedì 9 novembre 2010

Vinyl Experience...le tue ceneri in un disco!




Novembre, mese dei morti.

Per ogni rock fan che sogna l'immortalità ecco un'azienda inglese, la And Vinyly, che offre un servizio molto speciale: pressa le proprie ceneri in un disco in vinile, da consegnare ai posteri!!!

Il servizio offerto comprende non solo la "stampa" di un disco con le proprie ceneri, ma anche l'incisione del vinile su cui potrà essere inserita la propria playlist preferita (John Peel avrebbe fatto risuonare ad libitum "Teenage Kicks" degli Undertones, ad esempio), la propria voce o il proprio testamento.

La And Vynyly è stata fondata da Jason Leach, un DJ e musicista techno noto in UK per il suo gruppo Subhead e l'omonima etichetta discografica e per le successive esperienze con marchi come House of Fix, Daftwerk e Death to Vinyl.

La sua nuova società dedicata al "caro estinto che suona", oltre alla stampa del vinile, offre un intero packaging con un artwork personalizzato dall'ironico nome di RIV (Rest In Vinyl), la cui versione più semplice include il nome e le date di nascita e morte, mentre quella più elaborata e costosa prevede un ritratto realizzato dall'artista James Hague, che userà parte delle ceneri anche nell'impasto della pittura.

I costi?
Si parte da 2.000 sterline per il servizio base che comprende l'artwork standard, la pressa e l'incisione del vinile (con la propria voce o brani musicali) per un massimo di 24 minuti.

Gli extra possono variare dall'artwork personalizzato al cosiddetto "Bespook Music", un servizio per cui artisti delle etichette che fanno capo a Jason Leach, come la House of Fix e la Daftwerk, scriveranno un brano dedicato che sarà poi stampato sul disco. E copie del disco potranno essere distribuite, a richiesta, nei negozi indipendenti.

Death to Vinyl? No, Death on Vinyl...

domenica 7 novembre 2010

The CARBON / SILICON interview


Ancor più dei Sex Pistols, i Clash sono stati il gruppo di punta del punk inglese: ribelli della working class, innovatori del linguaggio musicale, rocker dalla forte impronta politico-sociale.

Joe Strummer e Mick Jones hanno rappresentato il corrispettivo punk della coppia Jagger-Richards nel decennio precedente. Poi Jones, una volta conclusa l’esperienza Clash, ha attraversato i quindici anni successivi con le varie incarnazioni dei B.A.D., prima di balzare nuovamente agli onori delle cronache nel 2002 come produttore dei Libertines, la band del controverso Pete Doherty.

È nello stesso periodo che prendono forma i Carbon/Silicon, l’attuale progetto musicale condiviso con l’amico di gioventù Tony James, anche lui protagonista della scena inglese prima con i Generation X e successivamente con i Sigue Sigue Sputnik negli anni 80.

“In realtà non mi sono mai allontanato dalla musica”, tiene a precisare Jones, incontrato in esclusiva durante l’ultima edizione del Neapolis Festival. “Ho sempre suonato e qualche anno fa ho prodotto i due album dei Libertines. Così quando ho rincontrato Tony ci siamo chiesti se ci andava di fare qualcosa assieme e abbiamo detto di sì. Il risultato è stata una canzone, a cui poi ne è seguita un’altra e poi un’altra ancora”.

Il primo brano composto dai due ex punk si intitola “MPFree” ed è una sorta di manifesto d’intenti dei Carbon/Silicon e della loro attitudine libertaria: sin dall’inizio il progetto dei due musicisti londinesi si è basato sulla totale gratuità della loro musica, scaricabile liberamente in free download dal sito ufficiale della band. Una scelta, questa, che ricalca in qualche misura l’approccio politico dei Clash che imponevano alla loro casa discografica il prezzo finale dei loro dischi. Accadde così con il capolavoro “London Calling” del 1979, doppio album venduto al prezzo di un singolo disco, o con il triplo “Sandinista” che la CBS si vide costretta a vendere al prezzo di un doppio.

“E’ la musica che conta”, raccontano quasi all’unisono Mick Jones e Tony James. “Sin dall’inizio abbiamo trovato molto eccitante il fatto di poter realizzare la musica che ci piaceva e diffonderla direttamente al pubblico senza dovere passare attraverso una casa discografica. L’idea fantastica è che puoi registrare un disco nella tua camera da letto e il giorno dopo un milione di persone hanno la possibilità di scaricarlo gratuitamente dalla Rete. Rispetto ai tempi dei Clash o dei Generation X oggi ci sono molte più opportunità”.

Per le giovani band, però, il free download rappresenta non solo un’opportunità ma anche un problema di sopravvivenza economica. Obiezione respinta: “I gruppi che valgono troveranno sempre il modo per farsi pagare. Dipende se suoni per i soldi, e allora sei un bancario e non un artista, oppure se lo fai per passione e con talento. Chi ha qualcosa di interessante da dire, emerge dalla massa e viene riconosciuto anche economicamente”.

Lo stesso approccio rilassato e controcorrente scandisce le mosse dei Carbon/Silicon anche sul versante dei concerti: “La bellezza di un gruppo come il nostro è che ci possiamo permettere il lusso di suonare per il piacere nostro e per quello dei fan. Teniamo concerti soltanto dove c’è qualcuno realmente interessato a vederci”. La band londinese - che si compone anche del bassista Jessie Wood, figlio di Ron Wood dei Rolling Stones, e del batterista Dominic Greensmith – ha tenuto quest’estate un unico concerto in Italia, al Neapolis Festival per presentare i brani del nuovo album “The Carbon Bubble”. Brani rock che non disdegnano le contaminazioni e che non nascondono un lato melodico. Rock’n’roll per il ventunesimo secolo.

“Non ci piace mettere un’etichetta sulla musica che facciamo: suoniamo e componiamo liberamente, un po’ come facevano i Grateful Dead”, chiosa Jones. E se i Clash erano abilissimi nel tirare fuori inni generazionali che alternavano storie personali e considerazioni politiche, i Carbon/ Silicon preferiscono puntare tutto su un versante più intimista e su un messaggio di speranza, anche in tempo di crisi: “Crediamo che pensare in maniera positiva possa influenzare il cambiamento. Il nostro ottimismo corrisponde alla ricerca di un significato profondo nelle nostre vite. E’ per questo che scriviamo canzoni sulla positività. E poi cerchiamo sempre di suonare e di divertirci”.

Puoi leggere quest'intervista anche su Freak Out: http://www.freakout-online.com/interviste.aspx?idintervista=221