Oggi è una giornata triste.
Dopo 11 anni di pubblicazioni chiude Diario, il settimanale più elegante, intelligentemente a sinistra e dedicato alla "buona lettura" presente in edicola.
Nato nel 1996 come allegato al quotidiano L’Unità, dopo un anno decise che era tempo di solcare in solitaria i mari sonnacchiosi, e per questo ancora più insidiosi, del giornalismo italiano.
Voleva scuotere, Diario: con le sue copertine, con le sue storie, con le sue inchieste e i suoi reportage.
Ma anche intrattenere e incuriosire i suoi lettori.
Forse per tutto questo, per volere ostinatamente "cercare la libertà, nel dubbio un po' a sinistra", per voler cocciutamente rimanere con le mani libere da condizionamenti, il settimanale di Via Melzo è stato spesso un pasto indigesto: alla classe politica, tanto a destra quanto a sinistra.
Ma anche a molti lettori, di sinistra of course, che non si sono riconosciuti in molte inchieste "politically incorrect".
Sulla sua pelle, su quella del suo direttore e dei suoi giornalisti, Diario ha scoperto quanto sia difficile essere un giornale libero in Italia.
Un giornale scomodo in un Paese che occupa ancora il 61· posto nel mondo per quanto riguarda l'indipendenza della sua stampa (rapporto 2007 di Freedom House).
Oltre a non avere padrini politici, e forse proprio per questo, Diario non ha raccolto nel corso degli anni le simpatie dei pubblicitari e dei loro committenti.
Penso male, faccio peccato, ma forse ci azzecco: non volevano esporsi nell'associare il loro marchio a quello di un giornale (troppo) indipendente e di sinistra.
Purtroppo - è risaputo - senza introiti pubblicitari un settimanale difficilmente sopravvive.
E oggi Diario chiude, dopo 567 settimane.
E quando un giornale chiude è sempre un brutto segnale: per chi ci lavora innanzitutto, per chi lo legge e, più in generale, per il Paese.
Una voce in meno rende meno forte una democrazia.
Personalmente sono fiero di avere partecipato, nel mio piccolo, a questa avventura editoriale che per me è stata una palestra di buon giornalismo.
L'editoriale di oggi ci dice che si tratta di "una pausa" e non di una chiusura.
Di un momento di riflessione per fare un altro giornale ancora più bello e più forte.
Questo è anche il mio desiderio e la mia speranza.
E sperando di rivedere presto in edicola il nostro Diario, mi stringo in un forte abbraccio a tutti i colleghi che stanno vivendo in queste ore momenti tristi, sul piano umano e professionale.
1 commento:
Io non so se Diario fosse da considerare un giornale in crisi di idee: il manifesto lo ha accusato di non fare “più inchieste vecchio stile, niente più numeri monografici, niente più racconti piani e documentati”. Non mi pare, ma ….
Poi, su questa triste faccenda leggo “il problema principale era l’assenza di un dipartimento di marketing e la gestione della pubblicità fatta in casa” oppure “la soluzione degli editori italiani è di vendere libri e DVD insieme ai giornali”.
Ed allora mi domando: ma perché nasce e vive un giornale ? Per i suoi contenuti, per dare voce a chi non ha potere, per denunciare o per vendere libri e DVD ? E cosa è importante in un giornale, i giornalisti, la loro professionalità o la direzione marketing ?
Sono due volte triste: per Diario che chiude e per me che ci capisco sempre meno in questo mondo-casino.
Ciao
Maurizio
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