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Vi ricordate “Alta Fedeltà”, il fortunato romanzo di Nick Hornby?
In quel libro il protagonista Rob Fleming, grandissimo appassionato di musica, aveva una vera e propria mania per le “Top 5”: classifiche con i cinque singoli preferiti, o con i cinque migliori lati A dei 45 giri o con le cinque più belle canzoni di Elvis Costello.
Adesso lo scrittore inglese raddoppia e ci svela quali sono i suoi dieci album preferiti. I dischi che si porterebbe su un’isola deserta.
Ce lo racconta in “The Desert Island Records” (Tuttle Edizioni, 383 pagine, 17 euro), un interessante volume curato da Stefano Isidoro Bianchi e Christian Zingales, rispettivamente direttore e capo redattore di “Blow Up”, rivista che negli ultimi otto anni ha raccolto e pubblicato le personali classifiche di oltre cento artisti.
A partire da Nick Hornby, unico non musicista presente, che sotto le palme di un atollo sperduto porterebbe con sé “London Calling” dei Clash e un cofanetto di Aretha Fraklin, il secondo dei Led Zeppelin e un album degli sconosciuti - ma suoi amici personali - The Bible.
Ma le sorprese non finiscono qui: scorrendo le pagine si scopre, ad esempio, che il geniale David Byrne mette due italiani tra i suoi dieci dischi da isola deserta: “Creuza de ma” di Fabrizio De Andrè e “Storie d’amore” degli Avion Travel.
Mentre Martin Gore dei Depeche Mode stila una lista tutto sommato classica, fatta di Elvis e Beatles, David Bowie e Iggy Pop. E se Manuel Agnelli degli Afterhours non tradisce le sue radici underground, scegliendo i Devo e gli Alley Cats, i Replacements e i Fall, Vinicio Capossela conferma tutto il suo eclettismo mettendo assieme Jeff Buckley e un cantautore popolare come Matteo Salvatore.
Il più insospettabile? Luca Carboni. Che non riesce a fare a meno di De Gregori. E neppure dei Sex Pistols.