venerdì 14 maggio 2010

Stile inglese



La settimana appena trascorsa ci ha dato una lezione di stile. Di stile inglese, per l'esattezza.

La transizione da 13 anni di governo laburista a una coalizione Tory-LibDem è avvenuta, nonostante le difficoltà di un parlamento in bilico, in soli cinque giorni.
L'addio di Brown che prende moglie e figlioletti e se ne va dal n. 10 di Downing Street è esemplare.
Quanto la conferenza stampa di insediamento del suo successore David Cameron che lo ringrazia per gli anni spesi al servizio della nazione.

Un esempio di stile istituzionale, lontano anni luce dalla caciara, dagli insulti, dalle accuse, dalle meschinità che ogni giorno accompagnano il teatrino della politica italiana.

Un'altra lezione di stile è poi arrivata mercoledì sera, al termine della finale di Europa League tra Fulham e Atletico Madrid. Con i tifosi della squadra londinese che, seppur perdenti, hanno applaudito i loro beniamini ma anche la squadra avversaria. Da noi si sarebbe scatenato l'inferno appena terminata la partita.

Tornando alla politica, la considerazione più evidente che ci arriva da questa lezione di stile è che nei paesi a solida tradizione democratica, come il Regno Unito, chi termina la propria esperienza istituzionale chiude per sempre con la politica. Cede il passo.

Da noi si assiste invece a uno spettacolo di cabaret, vecchio e squallido, per cui un ministro costretto anni fa alle dimissioni, viene più volte investito della stessa carica (ma in dicasteri diversi, tanto per cambiare!), salvo poi a dovere dare nuove e imbarazzate dimissioni qualche anno dopo.

O dove un candidato premier bocciato sonoramente dagli elettori, continua la sua traiettoria politica, assumendo incarichi, partecipando ai salotti televisivi fino a spuntare una nuova candidatura a sindaco della Capitale. E farsi trombare di nuovo.

Dove un ex leader di partito, ex sindaco, ex ministro ed ex direttore di giornale, invece di ritirarsi a vita privata a scrivere libri e fare beneficenza in Africa (come pure aveva promesso) tenta di rientrare in gioco formando una corrente partitica travestita da fondazione.

O dove ex potenti della prima Repubblica siedono ancora in Parlamento, attaccati col mastice alle poltrone di Montecitorio.

Ma, al di là di tutto, è l'anagrafe a segnalare l'inesorabile declino dell'Italia: Cameron e il suo vice Clegg hanno entrambi 43 anni. Berlusconi quasi 74.
Il che la dice lunga sullo stato di salute di quello che non è più - se mai lo è stato - un paese per giovani.

1 commento:

URSUS ha detto...

E' l'amara verità,purtroppo...sicuramente bisognerebbe rileggere l'intera storia britannica per rendersi conto dell'enorme distanza che ci divide (sopratutto culturalmente),un abisso.