giovedì 12 luglio 2007

Blues for Godzilla



Tornando in macchina da un concerto l'altra notte, con due amici discutevamo sullo stato di salute del rock contemporaneo.

Riflettevamo sul fatto che 10/15 anni fa comprare un disco su SST, Dischord, Touch & Go o 4AD era un gesto politico. Magari inconsapevole, ma politico.
Ascoltare gli Screaming Trees o i Minutemen, i Fugazi o i Girls Vs Boys piuttosto che i Pixies non rappresentava solo una scelta estetica, ma significava sentirsi parte di un movimento, di una scena indipendente. Alternativa al mainstream, e alle scelte capitalistico-affaristiche delle majors.
Significava sentirsi parte di un movimento che riportava al centro la musica in quanto forma d'arte e di comunicazione. Che non poteva prescindere dal rapporto diretto, immediato, tra il musicista e il suo pubblico. Che metteva sullo stesso piano, ognuno con il suo ruolo e la sua passione, chi suonava, chi scriveva di musica, chi organizzava i concerti e chi semplicemente ne fruiva.
Il post-Nirvana ha cambiato tutto. Le major hanno fagocitato l'universo indipendente e non esiste più una scena forte come quella di appena due-tre lustri fa.
Tutte le band che oggi vengono strombazzate come "alternative" altro non sono che strumenti nelle mani delle corporazioni dell'industria discografica.
E questo si riflette anche nella musica: c'è chi copia (male) gli anni '60, chi i '70 e si è arrivati anche all'assurdo revival della new wave...
Nessuno che osi, che provi a spostare l'asta un po' più in alto, che tenti di riscrivere la grammatica del rock in maniera coraggiosa e di rottura.
E' tutto così piatto e banale.
Davvero, gruppi come Maximo Park, Arctic Monkeys, Interpol sono in grado di accendere una passione?
Per fortuna esistono ancora gruppi che indossano fieramente i panni del miglior rock indipendente, quello del "corporate rock sucks". Ma anche della passione e del sudore, di tour assurdi in giro per il mondo direttamente a contatto con i propri fans.
Come i grandi straordinari BELLRAYS.
La band guidata dalla carismatica Lisa Kekaula (la Regina del Maximum Rock'n'Soul) è ancora in grado di scatenare emozioni forti, di accendere gli animi e suscitare una passione.
La chitarra di Tony Fate, ora geometrica e chirurgica, ora pulsante e tagliente, è in grado di passare dal noise più corrosivo al soul più suadente in questione di attimi. E così la sezione ritmica del potente duo Bob Vennum/Craig Waters (simpaticissimo ex drummer dei Countdowns).
Il loro ultimo album "Have A Little Faith" fotografa il momento di grazia della formazione di Riverside, ma è dal vivo che - come ogni grande gruppo che si rispetti - i BellRays trovano la loro dimensione ideale.
Sono bastati solo alcuni brani live l'altra sera per convicermi che mi trovavo di fronte a una delle più grandi formazioni degli ultimi tempi.
Di quelle che saranno ricordate e celebrate sulle riviste specializzate tra 15 anni!
Una vera forza della natura, i BellRays.
Un gruppo in cui il soul (l'elemento determinante nella musica, come ci spiega Lisa) convive tranquillamente con un sound assolutamente contemporaneo. Una band che rappresenta l'anello di congiunzione tra il passato e il futuro della musica.
E che dimostra di quanto miope sia l'industria musicale, anestetizzata la critica specializzata (quante copertine hanno avuto in Italia?) e anche il pubblico cosiddetto alternativo.
Incuranti di tutto questo, loro proseguono nella loro missione regalandoci attimi di pura gioia.
E quando Lisa intona "Have A Little Faith" o "Blues For Godzilla" un brivido mi corre lungo la schiena...

2 commenti:

tony-face ha detto...

D'accordo su tutto !

E i Bellrays rimangon onella mia top list delle bands che amo di più in questo momento

PS: ti consigli odi adre un ascolto agli ENEMY, inglesi, vicini a Jam,m Buzzcocks etc

Michelle Diamond ha detto...

Era un "gesto politico"..., io preferirei definirlo "filosofico" anche se la politica nella sua purezza si avvicina di molto alla filosofia.
Ma siccome la politica (e gli ideali che dovrebbe rappresentare) non esiste piú, di fatto, non esistono piú gesti politici.
Ci vorrebbe una sorta di Big Bang che rimescoli il tutto cosí vorticosamente e violentemente fino al punto di (ri)sparpagliare e ridefinire posizioni e confini di tutto e tutti.