C’è un libro che desidero segnalare e non solo perché l’ha scritto un amico.
Si intitola “Reggio 1970. Storie e memorie della rivolta” (Donzelli), lo firma Fabio Cuzzola, un insegnante di lettere col vizio della memoria.
Alcuni anni or sono, esattamente nel 2001, Fabio aveva tirato fuori dall’oblio la vicenda di un gruppo di anarchici di Reggio Calabria morti nel 1970 in uno strano incidente d’auto organizzato dai servizi segreti deviati. Quei ragazzi, tutti giovanissimi, avevano scoperto “qualcosa di grosso” ovvero il coinvolgimento di ‘ndrangheta e destra eversiva nell’organizzazione dell’attentato al treno Palermo-Torino che il 22 luglio 1970 deragliò nei pressi di Gioia Tauro, costando la vita a sei persone e facendo decine di feriti.
Quel libro, “Cinque anarchici del Sud” (Città del Sole), aprì uno squarcio di luce su una vicenda oscura e dimenticata tra le pieghe dei terribili anni della strategia della tensione.
Adesso Cuzzola ritorna con un volume che vuole riaprire un’altra pagina importante, ma dimenticata, della storia recente d’Italia: la rivolta di Reggio Calabria.
E vuole farlo con un corretto approccio storico a trecentosessanta gradi. Senza pregiudizi e senza piegare la storia, come spesso accade, a una qualche appartenenza politica.
Attraverso un notevole lavoro di indagine, costato anni di ricerche e sviluppatosi attraverso 200 interviste, in “Reggio 1970” Fabio Cuzzola ricostruisce lo scenario della Calabria dell’epoca, le motivazioni sociali, storiche e politiche che portarono la città di Reggio – unico caso nella storia dell’Italia repubblicana - a ribellarsi allo Stato centrale per rivendicare la propria dignità e il proprio ruolo.
Quella di Reggio non fu una rivolta fascista, come venne frettolosamente bollata da tutta la stampa nazionale. Almeno all’inizio fu una rivolta popolare, del tutto spontanea e apartitica.
I cittadini di Reggio (ricordiamolo: la città più antica, grande ed importante della Calabria) videro nello scippo del capoluogo a favore di Catanzaro l’ennesima promessa mancata alle proprie legittime aspettative di sviluppo e di progresso, di riscatto sociale, economico e culturale.
La durissima repressione poliziesca, pari solo alle violenze del G8 di Genova nei cinquanta anni di storia repubblicana, non fece altro che esacerbare gli animi.
La rivolta di Reggio Calabria non fu compresa nelle sue ragioni più profonde né dallo Stato centrale, lontanissimo dalle istanze della gente. Né tanto meno dai partiti di sinistra che quelle istanze avrebbero dovuto raccogliere, sostenere, far proprie.
La miopia del PCI e della sinistra in generale, con l’unica eccezione di una formazione extraparlamentare come Lotta Continua, favorì la degenerazione della rivolta.
Quel vuoto politico venne presto colmato dai fascisti del MSI e dal capopopolo Ciccio Franco, l’uomo del “Boia Chi Molla”. E il caos di quei giorni convulsi, violenti e tristi venne utilizzato dalla destra eversiva, dai servizi deviati e dalla ‘ndrangheta, per saldare i loro poteri e fare di Reggio un laboratorio privilegiato della strategia della tensione.
La rivolta di Reggio non lasciò soltanto una città umiliata e ferita. Lasciò morti innocenti per strada. E un territorio sociale ed economico ancor più depresso e desolato.
Il declino della città, il suo senso di distacco dallo Stato, il progressivo controllo della ‘ndrangheta e della massoneria sull’economia e sulle istituzioni locali sono conseguenza diretta della rivolta.
A Fabio Cuzzola va il merito di avere fotografato con la giusta prospettiva quella vicenda. Di avere saputo individuare e interpretare i vari piani di lettura di quei giorni drammatici. Di avere scritto il libro più bello, documentato e storicamente corretto sulla Rivolta di Reggio Calabria.
Si intitola “Reggio 1970. Storie e memorie della rivolta” (Donzelli), lo firma Fabio Cuzzola, un insegnante di lettere col vizio della memoria.
Alcuni anni or sono, esattamente nel 2001, Fabio aveva tirato fuori dall’oblio la vicenda di un gruppo di anarchici di Reggio Calabria morti nel 1970 in uno strano incidente d’auto organizzato dai servizi segreti deviati. Quei ragazzi, tutti giovanissimi, avevano scoperto “qualcosa di grosso” ovvero il coinvolgimento di ‘ndrangheta e destra eversiva nell’organizzazione dell’attentato al treno Palermo-Torino che il 22 luglio 1970 deragliò nei pressi di Gioia Tauro, costando la vita a sei persone e facendo decine di feriti.
Quel libro, “Cinque anarchici del Sud” (Città del Sole), aprì uno squarcio di luce su una vicenda oscura e dimenticata tra le pieghe dei terribili anni della strategia della tensione.
Adesso Cuzzola ritorna con un volume che vuole riaprire un’altra pagina importante, ma dimenticata, della storia recente d’Italia: la rivolta di Reggio Calabria.
E vuole farlo con un corretto approccio storico a trecentosessanta gradi. Senza pregiudizi e senza piegare la storia, come spesso accade, a una qualche appartenenza politica.
Attraverso un notevole lavoro di indagine, costato anni di ricerche e sviluppatosi attraverso 200 interviste, in “Reggio 1970” Fabio Cuzzola ricostruisce lo scenario della Calabria dell’epoca, le motivazioni sociali, storiche e politiche che portarono la città di Reggio – unico caso nella storia dell’Italia repubblicana - a ribellarsi allo Stato centrale per rivendicare la propria dignità e il proprio ruolo.
Quella di Reggio non fu una rivolta fascista, come venne frettolosamente bollata da tutta la stampa nazionale. Almeno all’inizio fu una rivolta popolare, del tutto spontanea e apartitica.
I cittadini di Reggio (ricordiamolo: la città più antica, grande ed importante della Calabria) videro nello scippo del capoluogo a favore di Catanzaro l’ennesima promessa mancata alle proprie legittime aspettative di sviluppo e di progresso, di riscatto sociale, economico e culturale.
La durissima repressione poliziesca, pari solo alle violenze del G8 di Genova nei cinquanta anni di storia repubblicana, non fece altro che esacerbare gli animi.
La rivolta di Reggio Calabria non fu compresa nelle sue ragioni più profonde né dallo Stato centrale, lontanissimo dalle istanze della gente. Né tanto meno dai partiti di sinistra che quelle istanze avrebbero dovuto raccogliere, sostenere, far proprie.
La miopia del PCI e della sinistra in generale, con l’unica eccezione di una formazione extraparlamentare come Lotta Continua, favorì la degenerazione della rivolta.
Quel vuoto politico venne presto colmato dai fascisti del MSI e dal capopopolo Ciccio Franco, l’uomo del “Boia Chi Molla”. E il caos di quei giorni convulsi, violenti e tristi venne utilizzato dalla destra eversiva, dai servizi deviati e dalla ‘ndrangheta, per saldare i loro poteri e fare di Reggio un laboratorio privilegiato della strategia della tensione.
La rivolta di Reggio non lasciò soltanto una città umiliata e ferita. Lasciò morti innocenti per strada. E un territorio sociale ed economico ancor più depresso e desolato.
Il declino della città, il suo senso di distacco dallo Stato, il progressivo controllo della ‘ndrangheta e della massoneria sull’economia e sulle istituzioni locali sono conseguenza diretta della rivolta.
A Fabio Cuzzola va il merito di avere fotografato con la giusta prospettiva quella vicenda. Di avere saputo individuare e interpretare i vari piani di lettura di quei giorni drammatici. Di avere scritto il libro più bello, documentato e storicamente corretto sulla Rivolta di Reggio Calabria.
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