Era da tanto che non andavo ad una manifestazione.
Oggi ho deciso di “infiltrarmi” tra i ragazzi delle scuole medie che protestavano contro il decreto Gelmini e, più in generale, contro una visione della scuola intesa come una palla al piede per i conti pubblici e non come la fabbrica del sapere e delle idee. Come la risorsa strategica per il futuro del Paese.
Non ero a Roma, bensì a Reggio Calabria: periferia dell’impero, lembo dell’estremo Sud perennemente dimenticato dai governi di ogni colore e che quindi ha risposto per anni con l’apatia e il disimpegno. Oggi non era così.
Oggi c’era l’entusiasmo anche un po’ naif degli adolescenti, la voglia di sentirsi protagonisti per un giorno (in una società che condanna i giovani ad essere eterni teenager), l’allegria di chi ha marinato la scuola con un buon motivo e - anche se non in tutti gli studenti - il desiderio di essere parte attiva di un processo di democrazia diretta in cui si rivendicano i propri diritti.
“E’ un bel segnale” mi dice Nando Primerano, docente di un liceo cittadino, impegnato nel sindacato di base e nella politica dal basso. “Dopo anni di silenzio questa città si è risvegliata. Potrebbe essere l’inizio di un qualcosa di più grande. E per la prima volta sembra che anche gli studenti universitari si siano aggregati al movimento”.
Un giudizio analogo lo dà anche Fabio Cuzzola, insegnante di lettere e scrittore (suoi i due bei volumi “Cinque anarchici del Sud” e “Reggio 1970”). Un professore giovane, con in testa la missione dell’educatore: “Ripartiamo dopo anni di deserto culturale. Questi ragazzi, figli della degenerazione televisiva dell’era berlusconiana, si sono svegliati e hanno deciso di scendere in piazza. Non è un segnale di poco conto. Certo, è molto diverso dagli anni ’60 e ’70, ma bisogna considerare che questi ragazzi non hanno gli strumenti politici e culturali per interpretare il reale che avevano i loro coetanei di tre o quattro decenni fa. Però è un’Onda positiva, un momento dal quale ripartire per costruire percorsi di democrazia e pace”.
Una manifestazione pacifica, allegra, colorata. Senza alcun momento di tensione.
Molti gli slogan urlati durante il corteo. Tra i tanti sberleffi alla Gelmini e a Berlusconi, qualche coro da stadio e anche una presa di distanza dalle strumentalizzazioni politiche: “Né rosso, né nero: libero pensiero”.
Niente di rivoluzionario. Ma forse il primo timido segnale di un’inversione di tendenza dall’apatia e dall’immobilismo.
Oggi ho deciso di “infiltrarmi” tra i ragazzi delle scuole medie che protestavano contro il decreto Gelmini e, più in generale, contro una visione della scuola intesa come una palla al piede per i conti pubblici e non come la fabbrica del sapere e delle idee. Come la risorsa strategica per il futuro del Paese.
Non ero a Roma, bensì a Reggio Calabria: periferia dell’impero, lembo dell’estremo Sud perennemente dimenticato dai governi di ogni colore e che quindi ha risposto per anni con l’apatia e il disimpegno. Oggi non era così.
Oggi c’era l’entusiasmo anche un po’ naif degli adolescenti, la voglia di sentirsi protagonisti per un giorno (in una società che condanna i giovani ad essere eterni teenager), l’allegria di chi ha marinato la scuola con un buon motivo e - anche se non in tutti gli studenti - il desiderio di essere parte attiva di un processo di democrazia diretta in cui si rivendicano i propri diritti.
“E’ un bel segnale” mi dice Nando Primerano, docente di un liceo cittadino, impegnato nel sindacato di base e nella politica dal basso. “Dopo anni di silenzio questa città si è risvegliata. Potrebbe essere l’inizio di un qualcosa di più grande. E per la prima volta sembra che anche gli studenti universitari si siano aggregati al movimento”.
Un giudizio analogo lo dà anche Fabio Cuzzola, insegnante di lettere e scrittore (suoi i due bei volumi “Cinque anarchici del Sud” e “Reggio 1970”). Un professore giovane, con in testa la missione dell’educatore: “Ripartiamo dopo anni di deserto culturale. Questi ragazzi, figli della degenerazione televisiva dell’era berlusconiana, si sono svegliati e hanno deciso di scendere in piazza. Non è un segnale di poco conto. Certo, è molto diverso dagli anni ’60 e ’70, ma bisogna considerare che questi ragazzi non hanno gli strumenti politici e culturali per interpretare il reale che avevano i loro coetanei di tre o quattro decenni fa. Però è un’Onda positiva, un momento dal quale ripartire per costruire percorsi di democrazia e pace”.
Una manifestazione pacifica, allegra, colorata. Senza alcun momento di tensione.
Molti gli slogan urlati durante il corteo. Tra i tanti sberleffi alla Gelmini e a Berlusconi, qualche coro da stadio e anche una presa di distanza dalle strumentalizzazioni politiche: “Né rosso, né nero: libero pensiero”.
Niente di rivoluzionario. Ma forse il primo timido segnale di un’inversione di tendenza dall’apatia e dall’immobilismo.