mercoledì 10 ottobre 2012
Wild Youth - "A Leopard Never Changes Her Spots"
Non sapevo chi fossero i Wild Youth prima di sabato scorso.
A Portobello, esattamente cinque minuti dopo avere incontrato Mick Jones dei Clash, mi sono fermato a guardare i vinili in una bancarella di dischi e a parlare con il tipo dinoccolato che li vendeva. Che ho scoperto poi essere Michael Fleck, il cantante e chitarrista dei Wild Youth.
La prima punk band sudafricana.
Michael mi ha raccontato la sua storia (nato a Londra e poi trasferitosi con la famiglia in Sud Africa) e regalato il CD, appena pubblicato, che raccoglie le incisioni della sua band.
Si intitola "A Leopard Never Changes Her Spots" e racchiude tutte le canzoni del gruppo tra quelle apparse all'epoca su singolo, su compilation e su demo.
C'è anche qualche episodio live: registrazione rozzissima ma che racchiude l'energia generata dal terzetto di Durban, composto oltre che da Fleck, voce e chitarra, anche da Rubin Rose alla batteria e Andrew Peinke al basso.
I Wild Youth si formarono nel 1978 e restarono in attività fino al 1980.
Possiamo immaginarci il contesto: i sobborghi noiosi e perbenisti di una città che aveva fatto dell'apartheid il mezzo ideale per raggiungere la "White Utopia", l'utopia di una nazione per soli bianchi con le popolazioni autoctone segregate negli slum.
I tre "bored teenagers" reagirono con un calcio nelle palle al conformismo borghese e razzista, sintonizzandosi sui suoni e lo stile oltraggioso che stava animando i loro coetanei a Londra come a New York.
Musica mai sentita a quelle latitudini. Musica ribelle. Un atteggiamento arrogante, un ghigno di sfida all'ordine costituito.
I Wild Youth riuscirono a pubblicare un singolo devastante, “Wot About Me/Radio Youth”, e due pezzi (“Record Companies”/“So Messed Up”) sulla compilation “Six Of The Best”.
Fosse uscito in Inghilterra, "Wot About Me" sarebbe diventato un classico del punk. Perchè è punk fino al midollo, in tutto e per tutto. Anche nei testi che buttano giù dal piedistallo miti vecchi e nuovi. Inclusi gli stessi eroi punk: "I don't wanna talk about Johnny Rotten, I don't wanna talk about Sid Vicious, I don't wanna talk about Joe Strummer. I just wanna talk about me! Wot about me?", cantava Fleck, mentre la sua chitarra sferragliava e la sezione ritmica macinava un robotico quattro quarti.
Dello stesso spessore sono pure la rasoiata di "Radio Youth", la rabbiosa "Record Companies" e la splendida, ramonesiana, "So Trendy". Mentre episodi come "Avalanche " e "Take Off", realizzati con il nuovo batterista Mark Gilroy, si spostano verso un post-punk nervoso che, soprattutto nel primo brano, ricorda i Wipers di Greg Sage.
Chiusa l'esperienza Wild Youth nel 1980, Michal Fleck formò i Gay Marines, un'altra oltraggiosa - sin dal nome - punk band nella cui line-up figuravano pure due italiani, Franco e Antonio Rogantin (rispettivamente batteria e basso).
In "A Leopard Never Changes Her Spots" troviamo anche vari pezzi dei Gay Marines e di altre esperienze estemporanee messe su da Fleck come i Retro's ("Wild Girl" è un'altra grande canzone) e il duo formato col francese Jean Philippe Gerboud con cui firmò un pezzo straordinario come "Back To You" in cui l'energia del punk veniva canalizzata (anche) attraverso i synth.
Per tutti i ricercatori di "nuggets" dell'era punk, aficionados di serie come "Bloodstains" e "Killed By Death" (dove i Wild Youth appaiono con due pezzi nel volume #40), un disco come "A Leopard Never Changes Her Spots" è un disco da non perdere. Una vera sorpresa.
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