mercoledì 24 novembre 2010

CUT - Annihilation Road (Go Down)


Ho apprezzato i bolognesi Cut sin dai loro esordi, ma devo dire che - soprattutto quando in molti sbavavano per loro nei primi anni Duemila - ho sempre teso a ridimensionarli.
Forse perché sono spesso e volentieri un bastian contrario. O forse perché ho sempre ritenuto che i gruppi italiani per uscire dal loro provincialismo e dalla loro autoreferenzialità debbano confrontarsi con i gruppi e le scene internazionali, e non solo prenderli a modello e scimmiottarli.
Per cui ogni qual volta ascoltavo un nuovo disco dei Cut, per quanto bello e incisivo fosse, lo trovavo sempre una spanna al di sotto di quelli delle più accreditate formazione straniere.

Questa volta no.

Giunta al quinto album, con un percorso sincero e coerente, e senza aver gettato la spugna in un panorama musicale (quello italiano) sempre più asfittico e desolante, la formazione guidata da Ferruccio Quercetti centra pienamente il bersaglio. E lo fa in virtù di un sound che ha saputo limare ogni eccesso, senza perdere in potenza e in forza comunicativa: un cocktail ad alto tasso alcolico di punk, blues, noise e rock’n’roll.
A certificare, poi, la raggiunta dimensione internazionale del terzetto bolognese sono le collaborazioni di questo album. “Annihilation Road” è stato registrato a New York da Matt Verta-Ray, sodale di Jon Spencer negli Heavy Trash e, prima ancora, chitarrista e mente dei newyorkesi Speedball Baby. Il disco è stato poi masterizzato da Ivan Julian che in molti ricorderanno al fianco di Richard Hell nei suoi leggendari Voidoids.

E’ rock contemporaneo, nervoso e tagliente, quello contenuto nelle quattordici tracce di “Annihilation Road”. Musica che vuole colpire duro, che non lascia spazio ad ammiccamenti commerciali e che va dritta al bersaglio.

La partenza è al fulmicotone con la title-track e la non meno impattiva “Strange Kind of Feeling”, mentre in “Awesome” emerge lo spettro dei Fugazi soprattutto nell’iniziale giro di basso. E se in “She Gave Me Water” i Cut giocano tutto sui chiaroscuri, nella fase centrale del disco tirano fuori una triade di canzoni di punk blues dissonante e ricco di scorie noise come “All Our Dues”, in cui si avverte l’infusso della Blues Explosion, “The Light” e “Summertime”.

Ma il meglio deve ancora venire: con il dinamismo sonoro che avvolge “Smash The Playground” e soprattutto con “Soul Fire”, un episodio notturno, ipnotico e affascinante, vetta artistica di un album senza sbavature né cali di tensione. Uno dei dischi più riusciti del 2010. Non soltanto italiani.

1 commento:

tony-face ha detto...

Tra i miei album dell'anno !!!