giovedì 30 aprile 2009

Dalla democrazia alla "mignottocrazia"





Ovvero come si è involuta la nostra democrazia dal 1948 a oggi.

Se i padri costituenti avessero immaginato cosa sarebbe diventata 60 anni dopo la democrazia italiana, per la quale avevano lottato e per cui avevano anche superato profonde divisioni ideologiche al momento di redigere la Carta costituzionale, avrebbero gettato la spugna o, più probabilmente, avrebbero introdotto criteri più rigidi per tutelarla.

Sessantun anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, l'Italia è passata dalla democrazia alla "mignottocrazia".
Il copyright della (geniale) definizione appartiene al senatore Paolo Guzzanti, ex penna prestigiosa di "Repubblica", poi passato alla corte di Berlusconi e oggi - dopo la nota vicenda che ha opposto la figlia Sabina al ministro Carfagna - tra i più acerrimi nemici dell'omino di Arcore.

C'è un passaggio intermedio, nella storia della nostra Repubblica, che però il senatore Guzzanti dimentica e che ha portato a questo stato di cose: la plutocrazia. Come recita il dizionario De Mauro, la "supremazia politica e sociale dei ceti che detengono le grandi ricchezze finanziarie e industriali".
La plutocrazia è il regno di Berlusconi che la impersonifica sin dal 1994.
Mai visto, infatti, in una democrazia occidentale l'uomo più ricco del Paese divenire premier e ammansire, con i suoi soldi e le sue Tv, alleati riottosi e oppositori (alcuni dei quali passati allegramente tra le sue fila), inclusi alcuni comunisti di lungo corso - vedi il ministro Bondi, ex sindaco "rosso" di Fivizzano - folgorati sulla via di Damasco, pardon...di Arcore.

Adesso siamo passati alla terza fase: dalla plutocrazia alla mignottocrazia, appunto.
Dove basta accondiscendere alle voglie dell'imperatore (la definizione non è mia, ma della moglie del premier, Veronica Lario) per fare carriera politica senza neanche gavetta o anticamera.

Le recenti esternazioni della signora Lario sulle scelte delle candidate-veline (definite "ciarpame senza pudore") sono assolutamente condivisibili.
Il punto è un altro e la domanda nasce spontanea: perchè Veronica Lario, di fronte all'evidente mancanza di rispetto da parte del marito "tombeur de femmes", non chiede il divorzio invece di limitarsi a sbottare sui giornali?
Non è che si tratta, anche questa volta, di un'abile mossa per alimentare l'attenzione mediatica sul consorte in vista delle elezioni europee e magari far passare in secondo piano altre candidature realmente impresentabili?

In fondo agli italiani la figura del macho conquistatore, del donnaiolo impenitente è sempre piaciuta. Sin dai tempi di Mussolini. Se poi il macho conquistatore, di professione primo ministro, è un arzillo settantenne, ricco, spaccone e pieno di soldi, piace ancora di più.
La mignottocrazia è servita. La democrazia è morta. Facciamocene una ragione.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un bellissimo video a corredo del tuo articolo, da far girare!!!

http://www.youtube.com/watch?v=oeXzJF7wVYM