venerdì 20 aprile 2012

RECORD STORE DAY 2012

Domani è il RECORD STORE DAY, la giornata mondiale dedicata ai negozi di dischi. Una festa per chi ama la musica, la cultura che gira attorno ai piccoli negozi di dischi indipendenti celebrata da Nick Hornby nel suo best seller "Alta Fedeltà" e da tutti noi - music maniacs - ogni singolo giorno da quando siamo teenager. Questo è l'articolo che ho scritto per Repubblica.it

martedì 17 aprile 2012

LILITH & THE SINNERSAINTS - A Kind of Blues



Se Dome La Muerte è il Keith Richards italiano, la nostra Marianne Faithfull - per intensità, emozioni, profondità - è senza dubbio Lilith. Che, guarda caso, con Dome suonava nei leggendari Not Moving, la più dirompente underground band che la Penisola abbia mai generato.

A quattro anni dal suo ultimo lavoro, la "nera signora" della nostra scena indipendente ritorna accompagnata dai fidi Sinnersaints (Tony Face alla batteria e Massimo Vercesi, chitarra e basso) e da un manipolo di valenti musicisti come Luca Giovanardi dei Julie’s Haircut, Ferruccio Quercetti dei Cut, Paolo Apollo Negri del Link Quartet, Pier Adduce dei Guignol, Nicola Faimali della band di Dente.

"A Kind of Blues", titolo che fa il verso al classico di Miles Davis del 1959, prosegue il percorso artistico intrapreso anni or sono da Lilith andando a scovare l'anima più nera e blues della singer piacentina. E mostrandone anche il volto più intimamente legato alla canzone d'autore (splendido il remake de "La Notte" di Adamo), quando non alla musica popolare ("Wake Up and Go") e alla sua "tradizione": con una nuova strabiliante versione di "Baron Samedi", primo brano inciso dai Not Moving, con la cover acustica di "Lazy" dei Nuns (che personalmente ho sempre trovato il gruppo più vicino per sonorità ai Not Moving, più di Cramps e Gun Club a cui tutti li hanno sempre accostati) e con l'esplosione chitarristica di "Mr Know It All" con citazione finale di "Blank Generation" di Richard Hell & The Voidoids.
Intrigante anche l'omaggio agli Statuto di "Ghetto", una versione scarnificata per dare ancora più forza al testo.

Con quella sua voce arrochita Lilith mostra ancora una volta di essere molto di più di una rocker di mezza età. Un'artista a tutto tondo, a cui il tempo ha regalato e non tolto un fascino e un magnetismo senza confini.

giovedì 12 aprile 2012

THE SICK ROSE - The Month of The Rose



Poco più di un mese fa Onde Italiane, una nuova microlabel dedicata alla riscoperta della nostra scena underground, ha pubblicato su vinile "The Month of The Rose", il primo demotape dei leggendari garage-punk torinesi Sick Rose.

Vinile nero, in edizione limitata e numerata a 500 copie.
Quella che vi accingete a leggere non è una recensione del disco: si tratta invece delle liner-notes che ho firmato per l'occasione e che trovate sul retro-copertina.

"Nel grigiore metallico degli anni Ottanta una generazione di giovani musicisti trovò un’originale via di fuga guardando indietro attraverso il caleidoscopio multicolore dei favolosi Sessanta. Sulla scia di ciò che stava accadendo nello stesso periodo negli States e nei paesi scandinavi, anche in Italia prese piede una sorta di rinascimento neo-Sixties.
A Torino, l’epicentro di quell’incredibile sisma musicale, nel novembre del 1983 si formano i Sick Rose, una delle band destinate a diventare uno dei nomi di punta della scena. Innamorato del nascente movimento del Paisley Underground così come delle originali formazioni garage e psichedeliche dei Sixties, il ventenne Luca Re decide di formare un gruppo che si inoltri per quegli affascinanti sentieri musicali. Va da Rock&Folk, un noto negozio di dischi della città, e mette un annuncio in bacheca: “The Sick Rose, band neopsichedelica cerca batterista, chitarrista, tastierista e bassista”.
La prima risposta arriva nel giro di una settimana: è il chitarrista Diego Mese a farsi vivo.
Pochi mesi dopo, con una line-up completata da Maurizio Rubinetti alla batteria, Massimo Smeriglio alle tastiere e Davide Forno al basso, i Sick Rose sono già in studio a registrare il loro primo demotape. Che oggi finalmente abbiamo la possibilità di ascoltare per la prima volta su vinile. Sette canzoni, cinque originali e due cover (“Something I Think About” dei Blues Magoos e “You’re Gonna Miss Me” dei 13th Floor Elevators) che ci restituiscono il sound grezzo e ancora un po’ acerbo della primissima formazione della band.
Sette episodi bellissimi nella loro freschezza naïf. “The Month Of The Rose” è uno strumentale dal fascino folk-rock, “A Strange Walk” e la più aggressiva “Again” iniziano a delineare il versante garage-pysch del gruppo con un ipnotico giro di tastiera, mentre “Janet Rye” e l’evocativa “The Threat Of Memories” assumono i contorni di ballate visionarie.
Il garage-punk aggressivo che diventerà, da lì a breve, il marchio di fabbrica dei Sick Rose arriva con “Do You Live In A Jail” che nel 1985 finirà sull’epocale raccolta “Eighties Colours”, pubblicata dalla Electric Eye di Claudio Sorge.
Su suggerimento dello stesso Sorge, e con il nuovo bassista Maurizio Campisi, nell’estate dello stesso anno la formazione torinese registra un promo di quattro canzoni da inviare a Greg Shaw della Bomp/Voxx. Una cassettina di cui si erano perse le tracce negli archivi del gruppo e il cui contenuto troviamo oggi tra questi solchi. Il sound dei Sick Rose si è fatto più aggressivo e trascinante, a partire dall’esplosiva “Burn Baby Burn” seguita a ruota dalle più fumosa “Don’t Come With Me”, dalla cover di “Every Night A New Surprise” dei Moving Sidewalks e dalla prima versione di quella “Get Along Girl” che, opportunamente rivisitata, segnerà l’epocale debutto su 45 giri della band. Con il nuovo tastierista Massimo Aluffi, il gruppo firma il grintoso remake di “Things Gettin’ Better” di Kenny and the Kasuals, poi pubblicato sulla compilation “Tracce ‘85”.
È il brano che chiude “The Month Of The Rose”, una raccolta unica e preziosa che fotografa i primi passi di una band che, da lì a breve, si trasformerà in una leggenda. Non soltanto dell’underground italiano, ma della scena garage mondiale".

Che altro aggiungere? Nulla, se non di fare vostra una copia di questo album prima che diventi un ricercato (e costoso) oggetto da collezione!

Potete ordinare “The Month Of The Rose” (venti euro, spese di spedizione incluse) su www.ondeitaliane.it.

mercoledì 4 aprile 2012

Roger Daltrey performs "Tommy"



Ho visto Roger Daltrey dal vivo poco meno di due settimane fa.
Sono andato al concerto senza grandi aspettative. Da vecchio fan degli Who temevo infatti di distruggere il mito. Il rischio di assistere a uno show patetico di una leggenda del rock che non si rassegna al tempo che passa c'era ed era grande.

Ho iniziato il concerto in apnea. Poi, man mano che i minuti passavano, mi sono sciolto. Il vecchio leone ruggiva ancora nonostante le 68 primavere.
E' invecchiato bene, Roger Daltrey. Non è imbolsito, non ha perso i capelli, anche se la voce non è più quella di un tempo con l'estensione di quattro ottave con cui prendeva la scala e saliva in cielo.

A quasi settanta anni sale sul palco e fa ancora la sua figura. Incredibile a dirsi per un giovanotto che quasi mezzo secolo fa cantava (ma il verso immortale non è suo, bensì di Townshend): "I hope I die before I get old"...

Per questo tour Daltrey ha messo su un'ottima band (con il fratello minore di Pete, Simon Townshend, di 15 anni più giovane) e orchestrato uno show bellissimo con tanto di stupenda animazione grafica che pulsava da un enorme schermo.

Ha rifatto tutto "Tommy", un disco che in verità non ho mai amato se non per quelle canzoni i cui riff rimangono scolpiti nel mio cuore ("I'm free" e "Pinball Wizard" su tutte), ha messo in mostra qualcuno dei vecchi trucchi di scena, come le acrobazie col microfono, ha cantato e suonato (alla fine, chitarra e ukulele) per oltre due ore.

Soprattutto i classici degli Who, quelli che tutti attendevamo impazientemente: "Baba O'Riley", "The Kids Are Alright", "Pictures of Lily", "My Generation" (l'unica a non convincere, per via di un arrangiamento poco azzeccato, non solo per il testo...), "Behind Blue Eyes", "Young Man Blues", "Who Are You", "I Can See For Miles"...
Attendevo "Won't Get Fooled Again", ma non c'è stata. Poco male.
Ho vissuto solo un riflesso lontano di quella che un tempo fu una band micidiale.
Mentre andavo via dall'Auditorium Conciliazione riflettevo proprio su questo: sull'integrità artistica che ancora sostiene Daltrey e su cosa dovevano essere gli Who negli anni Sessanta con quel funambolo pazzo di Keith Moon dietro ai tamburi, con il genio e la furia chitarristica di Pete Townshend, con l'eleganza di John Entwistle e con la voce impressionante e la presenza scenica di Roger Daltrey, tutti poco più che ventenni.
Una devastante forza della natura...