domenica 7 novembre 2010
The CARBON / SILICON interview
Ancor più dei Sex Pistols, i Clash sono stati il gruppo di punta del punk inglese: ribelli della working class, innovatori del linguaggio musicale, rocker dalla forte impronta politico-sociale.
Joe Strummer e Mick Jones hanno rappresentato il corrispettivo punk della coppia Jagger-Richards nel decennio precedente. Poi Jones, una volta conclusa l’esperienza Clash, ha attraversato i quindici anni successivi con le varie incarnazioni dei B.A.D., prima di balzare nuovamente agli onori delle cronache nel 2002 come produttore dei Libertines, la band del controverso Pete Doherty.
È nello stesso periodo che prendono forma i Carbon/Silicon, l’attuale progetto musicale condiviso con l’amico di gioventù Tony James, anche lui protagonista della scena inglese prima con i Generation X e successivamente con i Sigue Sigue Sputnik negli anni 80.
“In realtà non mi sono mai allontanato dalla musica”, tiene a precisare Jones, incontrato in esclusiva durante l’ultima edizione del Neapolis Festival. “Ho sempre suonato e qualche anno fa ho prodotto i due album dei Libertines. Così quando ho rincontrato Tony ci siamo chiesti se ci andava di fare qualcosa assieme e abbiamo detto di sì. Il risultato è stata una canzone, a cui poi ne è seguita un’altra e poi un’altra ancora”.
Il primo brano composto dai due ex punk si intitola “MPFree” ed è una sorta di manifesto d’intenti dei Carbon/Silicon e della loro attitudine libertaria: sin dall’inizio il progetto dei due musicisti londinesi si è basato sulla totale gratuità della loro musica, scaricabile liberamente in free download dal sito ufficiale della band. Una scelta, questa, che ricalca in qualche misura l’approccio politico dei Clash che imponevano alla loro casa discografica il prezzo finale dei loro dischi. Accadde così con il capolavoro “London Calling” del 1979, doppio album venduto al prezzo di un singolo disco, o con il triplo “Sandinista” che la CBS si vide costretta a vendere al prezzo di un doppio.
“E’ la musica che conta”, raccontano quasi all’unisono Mick Jones e Tony James. “Sin dall’inizio abbiamo trovato molto eccitante il fatto di poter realizzare la musica che ci piaceva e diffonderla direttamente al pubblico senza dovere passare attraverso una casa discografica. L’idea fantastica è che puoi registrare un disco nella tua camera da letto e il giorno dopo un milione di persone hanno la possibilità di scaricarlo gratuitamente dalla Rete. Rispetto ai tempi dei Clash o dei Generation X oggi ci sono molte più opportunità”.
Per le giovani band, però, il free download rappresenta non solo un’opportunità ma anche un problema di sopravvivenza economica. Obiezione respinta: “I gruppi che valgono troveranno sempre il modo per farsi pagare. Dipende se suoni per i soldi, e allora sei un bancario e non un artista, oppure se lo fai per passione e con talento. Chi ha qualcosa di interessante da dire, emerge dalla massa e viene riconosciuto anche economicamente”.
Lo stesso approccio rilassato e controcorrente scandisce le mosse dei Carbon/Silicon anche sul versante dei concerti: “La bellezza di un gruppo come il nostro è che ci possiamo permettere il lusso di suonare per il piacere nostro e per quello dei fan. Teniamo concerti soltanto dove c’è qualcuno realmente interessato a vederci”. La band londinese - che si compone anche del bassista Jessie Wood, figlio di Ron Wood dei Rolling Stones, e del batterista Dominic Greensmith – ha tenuto quest’estate un unico concerto in Italia, al Neapolis Festival per presentare i brani del nuovo album “The Carbon Bubble”. Brani rock che non disdegnano le contaminazioni e che non nascondono un lato melodico. Rock’n’roll per il ventunesimo secolo.
“Non ci piace mettere un’etichetta sulla musica che facciamo: suoniamo e componiamo liberamente, un po’ come facevano i Grateful Dead”, chiosa Jones. E se i Clash erano abilissimi nel tirare fuori inni generazionali che alternavano storie personali e considerazioni politiche, i Carbon/ Silicon preferiscono puntare tutto su un versante più intimista e su un messaggio di speranza, anche in tempo di crisi: “Crediamo che pensare in maniera positiva possa influenzare il cambiamento. Il nostro ottimismo corrisponde alla ricerca di un significato profondo nelle nostre vite. E’ per questo che scriviamo canzoni sulla positività. E poi cerchiamo sempre di suonare e di divertirci”.
Puoi leggere quest'intervista anche su Freak Out: http://www.freakout-online.com/interviste.aspx?idintervista=221
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