sabato 31 gennaio 2009
Ascoltati questa settimana
martedì 27 gennaio 2009
Cox 18: la famiglia Moroni risponde a Letizia Moratti
Sono in molti a volere riaperto il Conchetta: non solo i militanti del centro, ma anche tantissimi cittadini di ogni estrazione culturale e sociale che in questi giorni hanno apertamente manifestato la loro solidarietà al Cox 18.
Su Internet è stata avviata una raccolta di firme che ha quasi raggiunto quota 8.000. E ieri pomeriggio sotto Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, si è svolto un presidio contro lo sgombero con uno spettacolo teatrale e un banchetto di libri, riviste e autoproduzioni nella migliore tradizione della libreria “Calusca City Lights”.
Per la serie: ci sgomberano il centro neanche fossimo dei terroristi e noi le nostre attività le portiamo in piazza, all’aperto, sotto la sede del Comune.
Intanto è di oggi la notizia che il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha espresso preoccupazione per l’archivio storico di Primo Moroni conservato al Cox 18, al punto che vorrebbe farlo rilevare dal Comune e spostarlo altrove.
Ma la famiglia Moroni si oppone a questa ipotesi, rivendicando che il luogo naturale dell’archivio, per espressa volontà dello scomparso leader della sinistra extraparlamentare, è il Cox 18.
In risposta alle dichiarazioni del sindaco, i familiari di Primo Moroni hanno diramato un comunicato stampa che pubblichiamo integralmente:
Milano 27 gennaio 2009
Oggi abbiamo appreso dalla stampa che il sindaco Letizia Moratti avrebbe intenzione di occuparsi dei materiali dell’Archivio Primo Moroni e che vorrebbe addirittura spostarli in una non meglio identificata sede del Comune di Milano.
Se questa giunta avesse avuto minimamente a cuore l’Archivio Primo Moroni non avrebbe mandatoingenti forze di polizia e militarizzato un intero quartiere per sgomberare il centro sociale Cox 18,cercando di bloccarne la più che trentennale attività e impedendo la libera fruizione sociale dei materiali dell’Archivio e della “Calusca City Lights”.
Se a muoverla fosse stato qualcosa di diverso da una volontà di mostrare i muscoli la cui protervia èpari solo all’ignoranza e all’avidità già dimostrate in troppe altre occasioni, avrebbe invece rispettatola loro collocazione nel luogo in cui Primo aveva deciso dovessero stare.
Ribadiamo quindi che per noi familiari la sede naturale dell’Archivio Primo Moroni è il centro sociale di via Conchetta 18 e che se questa amministrazione s’illude di fare diversamente incontrerà la nostra più ferma opposizione.
Cox 18, l’Archivio Primo Moroni e Calusca City Lights sono affasciati e difesi da quella solidarietà attiva che si è espressa durante tutti questi giorni.
Non si toccano.
Sabina, Maysa, Anna e Chiara, familiari di Primo Moroni
sabato 24 gennaio 2009
Ascoltati questa settimana
venerdì 23 gennaio 2009
Sgomberato il Cox 18. Aria di regime?
Mentre a Londra un gruppo di squatter occupa un edificio di lusso a Mayfair, a Milano la polizia sgombera il Cox 18, uno dei centri sociali più importanti del capoluogo lombardo.
E’ successo ieri mattina intorno alle 8 quando un gruppo di agenti in tenuta antisommossa è comparso davanti allo storico stabile di Via Conchetta 18, in zona Navigli, per “restituire al Comune” l’edificio che da 21 anni ospita il centro sociale e la storica libreria “Calusca City Lights” con l’archivio di Primo Moroni.
L’appello lanciato dal sito del Cox 18 è stato immediato: “22 gennaio 2009, ore 08.00. Alla fine sono arrivati. Sono già davanti al portone per sgomberare il centro. Non permettiamo l’ennesimo sgombero a Milano. Proviamo a opporci. Venite tutti”.
Ma non c’è stato nulla da fare. Il Conchetta è stato sgomberato. Solo sulla libreria che contiene il prezioso archivio di Primo Moroni sulla storia dei movimenti antagonisti in Italia è rimasto uno spiraglio aperto. Custodia, ma non sequestro, vista anche l’assenza di un mandato che giustificasse l’azione di sgombero.
La figlia dello scomparso leader della sinistra extraparlamentare, Maysa Moroni, ha lanciato un appello affinché l’archivio del padre, costituito da libri, volantini, manifesti e documenti che ricostruiscono i movimenti di protesta degli anni ’70, ’80 e ’90, non venga disperso.
“Un patrimonio dal valore inestimabile che mio padre ha raccolto nel corso di tutta la sua vita”, ha affermato Maysa Moroni, ricordando che all’interno del Cox 18 non si svolgono solo le attività socio-culturali del Centro, ma viene ospitata anche la libreria “Calusca” . Libreria che ha continuato a vivere anche dopo la scomparsa di Moroni avvenuta nel 1998.
“La libreria “Calusca” è nata nel 1971 sulla spinta dei grandi movimenti di protesta. Mio padre ha sempre fatto in modo che fosse un luogo di incontro e di diffusione della cultura. E’ stata a Milano un punto di riferimento per il mondo della sinistra, non solo extraparlamentare, e della cultura. E continua a esserlo anche in questi tempi in cui viviamo una Milano arida”.
Il Cox 18 è stato negli anni un luogo propulsivo di culture antagoniste e underground.
Appare in tutta la sua evidenza che l’azione repressiva contro uno dei centri sociali storici di Milano non rientra in un contesto di lotta alla criminalità, ma si configura come il primo tassello di un progetto a più ampio respiro volto a colpire qualsiasi forma residua di conflitto sociale e intellettuale. Le parole del vicesindaco di Milano, De Corato, ne sono una conferma ampia e prevedibile: “Altri si preparino”. Con un riferimento neppure tanto velato ai centri sociali “Pergola” e “Transiti”.
Al di là del fatto in sé, grave nei modi quanto nelle motivazioni, preoccupa il clima di intolleranza che si sta diffondendo verso chi manifesta la propria diversità intellettuale, culturale e politica.
In un paese narcotizzato dallo strapotere mediatico e culturale berlusconiano (passato, nel corso degli anni, attraverso Isole e Grandi Fratelli, veline e tronisti, culi e tette in libertà…), gli spazi di agibilità democratica si stanno sempre più restringendo, sino a ridursi al lumicino.
Si vuole rimuovere la diversità, omologare tutti al pensiero unico del “produci – consuma – crepa”. E cosa ancor più grave, con l’acquiescenza di una “opposizione consenziente”.
mercoledì 21 gennaio 2009
Il giorno di Barack Obama: cammino di speranza o corsa ad ostacoli?
Ho visto l’insediamento di Barack Obama ieri sera in tv.
Era la prima volta che seguivo in diretta “l’incoronazione” di un presidente degli Stati Uniti.
Curiosità, timore (di attentati), speranza.
Proprio “speranza” è stata la parola più usata, e forse abusata, di ieri.
Non solo dal 44° Presidente Usa, ma anche da prestigiosi colleghi e commentatori, e soprattutto dai semplici cittadini.
Certo, c’è bisogno di speranza, di quella ventata di energia fresca che ci faccia vedere la luce in fondo al tunnel, che riscaldi i cuori e sprigioni nuove energie.
Il mondo in cui viviamo non è certo il migliore possibile e la situazione globale in cui siamo precipitati da quasi un decennio, grazie alle scelte scellerate di George W. Bush e dei suoi alleati europei (con il nostro premier in testa), non lascia molto spazio all’ottimismo.
Obama, per tutta la campagna elettorale e nel discorso di insediamento di ieri, ha parlato di speranza e responsabilità, ha disegnato nuovi scenari futuri, ha lasciato intravedere la possibilità di un cambiamento.
Finora è stato un ottimo oratore. Oggi inizia il suo cammino da amministratore del “condominio a stelle-e-strisce”. E di primo attore delle vicende internazionali.
Su di lui si sono riversate le attenzioni e le aspettative del mondo. Aspettative forse troppo grandi, legittime dopo otto anni disastrosi di amministrazione Bush, ma probabilmente esagerate.
Un uomo solo, per quanto potente come il presidente degli Stati Uniti, non può cambiare i destini dell’umanità. Ma può dare il suo contributo.
Barack Obama è atteso da un compito grave, difficile: la crisi economica in primis, poi la situazione internazionale con l’Iraq, l’Afghanistan, l’eterno conflitto tra Israele e la Palestina, la querelle con l’Iran, il fanatismo religioso legato a doppio filo con il terrorismo internazionale (alimentato dalle scelte allucinanti dei falchi della precedente amministrazione Usa), infine i rapporti di collaborazione con l’Europa, sono i banchi di prova con cui dovrà iniziare a confrontarsi da subito.
Poi ci sono un nuovo modello sociale da introdurre nel suo Paese. E la rivoluzione industriale, eco-compatibile, del terzo millennio da avviare.
La domanda è: quanta forza avrà Obama? Sarà in grado di contrapporsi o quanto meno di trovare un dignitoso punto di compromesso con le lobbies industriali ed economico-finanziarie che di fatto governano gli Stati Uniti e il mondo?
La scommessa è tutta qui. Le speranze e le enormi aspettative che la sua elezione ha generato dovranno fare i conti con la realtà. Da oggi inizia un nuovo cammino. Ma forse sarebbe meglio pensare a una corsa ad ostacoli.
lunedì 19 gennaio 2009
There's a rock'n'roll party: THE FLESHTONES are back!!
Parte dall'Init di Roma, domani 20 gennaio, il nuovo tour italiano dei favolosi FLESHTONES.
Chi segue questo blog sa che si tratta di una delle mie band preferite di sempre.
Peter Zaremba, Keith Streng, Ken Fox e Bill Milhizer rappresentano la quintessenza della rock'n'roll band.
Da più di trent'anni la loro vita è costantemente on the road e la loro ragion d'essere è stare su un palco per divertire. Divertendosi.
Non si va a vedere un concerto dei Fleshtones, ma a partecipare a una festa rock'n'roll dove ogni barriera tra band e pubblico scompare in un flusso di energia circolare. Ai concerti del gruppo di New York non si è semplici spettatori, ma protagonisti di un party vitaminico in cui tutto può accadere.
Come essere costretti a fare delle flessioni in mezzo alla sala assieme al cantante oppure - come è successo a me l'ultima volta che i Fleshtones sono venuti in Italia -trovarsi scaraventati sul palco con tanto di chitarra al collo al posto di Keith Streng.
O ancora eseguire assieme ai membri del gruppo delle danze tribali su e giù per il club...
La colonna sonora di un coinvolgente party rock'n'roll come questo è ovviamente il fantastico Super-Rock dei Fleshtones, la miscela ad alto tasso ludico che la formazione americana ha brevettato a partire dal lontano 1976: un mix di r'n'r, garage e beat con cui il gruppo ha forgiato decine di canzoni indimenticabili.
Come quelle contenute nell'ultimo album "Take A Good Look!", l'ennesima prova dell'elisir di eterna gioventù che i Fleshtones continuano a distillare ogni volta che c'è da andare in studio.
Prima di rimettersi in marcia per diffondere il verbo contagioso del Super-Rock da un angolo all'altro del pianeta.
Queste le date del tour italiano:
20.01 Roma @ INIT
21.01 Milano @ Magnolia
22.01 Pordenone @ Deposito Giordani
23.01 Siena @ Sonar
24.01 Recanati @ Extracinemusic
25.01 Cesena @ Officina 49
Non mancate all'appuntamento.
Del resto, lo sapete: No FLESHTONES, no party!!!
sabato 17 gennaio 2009
Ascoltati questa settimana
JULIAN COPE "Citizen Cain'd", THE SLEEVES "Five Days To Hell", CCCP Fedeli alla Linea "Ortodossia II" - "Affinità Divergenze tra il compagno Togliatti e Noi", THE ROLLING STONES "Emotional Rescue", THE CYNICS "Here We Are", MEAT PUPPETS "II", BUFFALO KILLERS "Let It Ride", THE HEARTBEATS "The Heartbeats", NEW BOMB TURKS "At Rope's End", PAVEMENT "Wowee Zowee", THE CLASH "The Clash", AA.VV. "The Big Stiff Box Set"...
giovedì 15 gennaio 2009
Le ragioni di Israele
martedì 13 gennaio 2009
Da oggi si vola "AliFrance"
Da oggi si vola AliFrance, la nuova compagnia creata ad arte per truffare 60 milioni di italiani.
Per oltre metà regalata dal premier ai suoi amici (che l'hanno comprata, ben ripulita da debiti e passività, quindi potenzialmente in attivo), e per un quarto venduta ad Air France, ben contenta di entrare nel mercato italiano a queste condizioni di favore.
Un anno fa, ma è storia nota, il governo Prodi - già messo in crisi da Mastella (col fondamentale supporto logistico-morale di Veltroni: ricordate il suo "alle prossime elezioni correremo da soli", subito dopo le primarie?) - aveva chiuso un accordo più che dignitoso con Air France-KLM.
Il vettore franco-olandese avrebbe acquistato il 100% delle azioni Alitalia, facendosi carico dei debiti e riducendo gli esuberi a sole 2000 unità.
Ma l'allora opposizione, con Berlusconi in testa, giurò che mai e poi mai avremmo perso la nostra compagnia di bandiera a favore degli odiati cugini francesi.
"C'è una cordata italiana pronta a farsi avanti" dichiarò il Cavaliere, accendendo le fantasie di tutti quegli italiani pronti a votarlo pur di mantenere l'italianità della compagnia di bandiera.
E a dargli manforte arrivarono i sindacati che prima bocciarono il piano di rilancio di Spinetta, per poi firmare - mesi dopo - quello ben peggiore della Cai.
Oggi l'ennesimo trucco dell'imbonitore di Arcore è sotto gli occhi di tutti.
Alitalia è stata non svenduta ma regalata a Cai.
I debiti, attraverso la "bad company", sono rimasti agli italiani: 3 miliardi di euro che pagheremo tutti attraverso tasse più alte o riduzione di servizi essenziali.
Il conto in termini di occupazione e salari è ben più salato di quello che avrebbe fatto pagare Air France.
E, alla faccia dell'italianità, Air France ha acquistato a prezzi ribassati il 25% della società, pronta a farne un sol boccone tra 5 anni.
La cosa peggiore di tutte, però, è che agli italiani sembra non importare nulla di questa ennesima presa per i fondelli di Berlusconi & Co.
domenica 11 gennaio 2009
Woolwoorths...thank you and goodbye!
La crisi economica che sta colpendo con veemenza l'Occidente ha fatto un'altra vittima eccellente nel Regno Unito: la catena di supermercati Woolworths.
Una sorta di istituzione britannica, entrata a far parte dell'immaginario collettivo grazie anche a un brano come "Warrior In Woolworths" degli X-Ray Spex (1978).
Un altro mito che va in frantumi e che apre le porte della disoccupazione ai 25.000 dipendenti della catena.
Immagini come quella sopra sono solo un bel ricordo ormai: adesso si vedono solo scaffali vuoti, porte chiuse e le lacrime dei dipendenti che attendono di sapere cosa sarà di loro...
sabato 10 gennaio 2009
Ascoltati questa settimana
PINK FLOYD "Wish You Were Here", ROLLING STONES "Emotional Rescue", BECK "Mellow Gold", THE TUNAS "We Cut Our Fingers In July", LEADFINGER "Rich Kids", THE CHORDS "So Far Away", THE CLASH "The Singles", SCREAMING TREES "Buzz Factory", ROBYN HITCHCOCK "I Often Dream of Trains", AA.VV. "Tropicalia", DIED PRETTY "Free Dirt", THE HEARTBEATS "The Heartbeats", NICK RIFF "Freak Element", THE WHO "Live at Leeds", THE SONICS "Here Are The Sonics", POWERTRANE "Beyond The Sound", DR.JOHN "Gumbo", FUZZTONES "Braindrops", THE NERVES "One Way Ticket", RAMONES "Leave Home"...
giovedì 8 gennaio 2009
Israele: uno stato terrorista?
L’offensiva di Israele contro la Striscia di Gaza è giunta al tredicesimo giorno. Sono oltre 700 le vittime civili di una guerra assurda che sta causando morte e distruzione in uno degli angoli più poveri e oppressi della Terra.
L’attacco, dicono tutti i vertici politici e militari dello Stato d’Israele, è volto a sconfiggere definitivamente Hamas. Ma le vittime sono civili, uomini, donne e bambini. Soprattutto bambini. Indifesi. Innocenti.
Le bombe sganciate dai caccia israeliani e i colpi di artiglieria pesante dell’esercito di David stanno portando morte e distruzione in una zona già pesantemente colpita da condizioni di vita al limite dell’apartheid.
Se è vero che Hamas è un partito-terrorista che ha come obiettivo politico finale l’annientamento di Israele, è anche vero che si tratta di un partito che ha vinto democraticamente le elezioni in Palestina e che guida un governo legittimo. Hamas ha trovato la sua ragion d’essere nelle condizioni assurde in cui lo stato ebraico continua a schiacciare la Palestina, nella corruzione interna all’Olp, ma anche nell’incapacità delle democrazie occidentali di trovare uno sbocco politico giusto a una crisi che si protrae da oltre 40 anni.
Il radicalismo di Hamas ha fatto breccia nella parte più povera e oppressa della popolazione palestinese a cui nessuno ha saputo finora offrire condizioni di vita decenti, un piano di sviluppo economico e una prospettiva di indipendenza politica e territoriale.
Si parla sempre di due stati che convivano pacificamente, poi però Israele si comporta da potenza occupante: costruisce muri, limita la circolazione ai palestinesi, rende infernale la vita dei lavoratori con posti di blocco ad ogni angolo.
In queste condizioni si alimenta la rabbia e la tensione, non si costruisce una via di dialogo che porti a una pace duratura.
Le testimonianze che arrivano dalla Palestina in questi giorni sono drammatiche. Come si può restare insensibili di fronte alle immagini e ai racconti della gente di quelle terre?
I palestinesi muoiono nelle loro case, per strada, persino nelle scuole dell’Onu. E Israele con arroganza continua ad affermare che l’operazione continuerà.
L’operazione o più brutalmente il genocidio?
Perché di questo si tratta. Di genocidio.
Mouttazz Aburadamadan, un cooperante che lavora presso la Ong International Care, ieri ha lasciato al quotidiano spagnolo Público una testimonianza lucida e drammatica: le bombe hanno colpito una casa di suoi amici, dove vivevano 17 persone, ammazzandole tutte: “Mi sento male. A chi posso dare le mie condoglianze? L’intera famiglia è stata massacrata”. 700 persone sono state brutalmente assassinate dallo stato di Israele in meno di due settimane. E non si dica che tra loro si nascondevano militanti di Hamas. Perché una simile affermazione, se accettata, potrebbe rappresentare un precedente particolarmente pericoloso.
E se la Spagna, domani, decidesse di bombardare i Paesi Baschi perché tra le case di Bilbao o San Sebastián si nascondono pericolosi terroristi dell’Eta?
E’ possibile accettare che uno Stato per combattere dei terroristi si trasformi a sua volta in terrorista colpendo indiscriminatamente nel mucchio, uccidendo centinaia di innocenti, portando morte e distruzione in un territorio?
Con questi comportamenti, che sembrano non avere opposizione né interna né internazionale (con l’unica eccezione della Spagna e, più timidamente, della Francia), Israele non è diventato uno stato terrorista?
Il massacro dei palestinesi, intanto, continua.
martedì 6 gennaio 2009
Ron Asheton R.I.P.
Rest In Peace, Ron.
Sono certo che da qualche parte in questo momento stanno risuonando i riff cattivi ed essenziali di "1969" e "I wanna be your dog".
Ad alto volume, come tu avresti voluto!